APRILE (a cura di Alessandro Vailati)
Aprile 2020: Maurizio Vaiani in arte RosGos pubblica il suo secondo album solista, interamente in inglese, Lost in the Desert, una piccola, meravigliosa e audace rivoluzione sonora ove l’autore si sgancia dal bellissimo esordio Canzoni nella Notte per esplorare nuovi territori, senza dimenticare il suo percorso musicale e mantenendo ben attaccate le radici alle sue origini.
Aprile 2023: sono trascorsi, al solito velocemente, tre anni – anche se nel mondo sono accaduti avvenimenti che potrebbero far pensare ne siano passati trecento –, e il “Pettirosso” di Crema vola ancora alto, impettito da quell’invenzione geniale che è stata Circles (2022), imprescindibile terzo lavoro, una discesa agli inferi danteschi tanto vicina alla disperazione vissuta dall’Uomo in questo periodo. Ora Maurizio sta minuziosamente costruendo la nuova opera, con la solita passione, saggezza e intelligenza, e questa piacevolissima chiacchierata è l’occasione per scoprire a che punto siano i lavori della futura pubblicazione, ma, ovviamente, non solo… Come Personaggio del Mese di MusicPhilò svelerà delicate istantanee della sua storia artistica e privata, condividerà tanti piccoli tasselli di una vita intensa e ci regalerà frammenti di luce e oscurità, oblio e speranza, simili a quelli che compongono il meraviglioso mosaico della sua Musica.
Allora, caro Maurizio, innanzitutto benvenuto nel mondo di MusicPhilò. Pensando in generale alla tua musica mi è passata per la testa una frase di Plutarco, “La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”. Nelle tue opere soliste, a cui sono personalmente legato in maniera profonda, ho notato una continua crescita, il raggiungimento della maturità con Circles e un approccio sempre più simile concettualmente alle parole citate dal filosofo greco. Con passione, saggezza e intelligenza riesci a trovare la nota e l’argomento giusti per far scoccare la scintilla nell’ascoltatore, offri un impulso allo spirito di ricerca dell’io interiore, ma lasci che siano proprio le persone a cui ti rivolgi a scoprire la strada…
Grazie Alessandro per avermi invitato nella tua rubrica mensile che leggo sempre con molto piacere e interesse, e ovviamente grazie anche a MusicPhilò per lo spazio prezioso che mi ha concesso.
La citazione che hai colto da L’arte di ascoltare è meravigliosa e mi intimidisce molto il fatto che l’hai accostata alla mia opera creativa.
La mia indole, e chi mi conosce lo sa, mi ha sempre portato ad ascoltare molto, ad ascoltare attentamente ciò che i miei intermediari hanno da dire, da consigliare, da lamentare, da offrire. Difficilmente propongo soluzioni definitive, anche perché io sono fatto di insicurezze, ma certamente dirò la mia o regalerò il mio consiglio, se richiesti. Allo stesso modo, assolutamente in modo involontario e quindi naturale, mi pongo nel momento in cui creo la mia musica. Non propongo soluzioni, il più delle volte non ne ho nemmeno, ma getto sul tavolo pensieri, emozioni, sensazioni, sia in forma letteraria sia in forma unicamente musicale e lascio a chi ascolta il piacere della scoperta. Diventa tutto molto soggettivo, diventa un percorso che io comincio ma che non mi prendo la briga di portare a termine. Chi ascolta lo farà e arriverà in una determinata zona della sua mente e del suo cuore dove inevitabilmente raccoglierà i frutti di questo percorso. La libertà di questa sorta di viaggio tra me e l’ascoltatore scatenerà viaggi infiniti e probabilmente anche molto distanti a seconda di chi pazientemente si intrufolerà nella mia musica. Questo è ciò che mi piace maggiormente: lasciare agli altri il compito da me iniziato in modo che con la musica possano andare, viaggiare, verso mete indefinite.
Il percorso di Maurizio Vaiani invece qual è stato, partendo dai mitici Jenny’s Joke per giungere a RosGos? Ma già che ci siamo, riavvolgiamo completamente il nastro, come viveva il piccolo Maurizio? Quanto hanno influito la famiglia e la musica nel passaggio da fanciullo a uomo sposato con una figlia?
Il piccolo Mauri ha vissuto molti anni in una grandissima cascina immersa nella pianura padana. Ho condotto una vita normalissima e come molti bimbi di quegli anni passavo il tempo extrascolastico a giocare, principalmente a calcio. Diciamo anche che la vita in cascina richiedeva un aiuto importante in famiglia. Tagliare la legna, accudire e pulire polli e conigli, perdersi nei campi a “spigolare”, coltivare e bagnare quotidianamente l’orto; insomma, c’era sempre da fare e alla fine il tempo libero per coltivare i propri interessi era davvero poco. Musicalmente qualche piccolo segnale comunque c’era. Suonavo nella banda del paese, passione che mi ha letteralmente “salvato” nell’anno obbligatorio di leva facendomi confluire nella banda militare. E in quell’anno c’è stata in me una vera e propria rivoluzione, complice il passaggio da adolescente ad adulto, ma anche grazie al tempo libero che mi sono improvvisamente ritrovato. Inizialmente quel tempo libero veniva riempito con bomboloni alla crema come se non ci fosse un domani e da infinite stecche di sigarette, poi una molla in me è scattata facendomi scoprire per la prima volta in vita mia quanto fosse bello e appagante leggere, riempire i vuoti della giornata con racconti e storie che mi portavano lontano, in mondi avvincenti e inesplorati. In simultanea iniziai a strimpellare la chitarra e cominciai a scrivere le prime inascoltabili opere musicali. Resteranno inascoltabili per lungo tempo, forse anche ora lo sono, ma diciamo che la furbizia e il “mestiere” mi permettono di truccarle a tal punto da renderle forse più accessibili. Dopo il servizio di leva cominciai a navigare in alcuni gruppi locali che si divertivano un mondo a fare cover, a suonare quella musica che semplicemente “ci piaceva da matti”. Dapprima con i Ramones per poi passare al rock un pochino più colto, dai Radiohead a PJ Harvey, da Nick Cave ai Placebo, dagli Afterhours ai Marlene Kuntz. Dopo qualche centinaio di concerti ecco una nuova necessità: fare musica originale, nostra. Nacquero quindi i Jenny’s Joke, gruppo che nel giro di 5 anni si tolse davvero delle belle soddisfazioni incidendo 3 album e suonando su palchi anche carini e importanti in giro per l’Italia. Ma come spesso accade la fiamma, se non alimentata, lentamente si spegne. Dopo anni di stand-by musicali, ma colmi di novità famigliari, tra cui il matrimonio con Federica e la nascita di Sara, ecco arrivare di nuovo e prepotentemente la necessità di dire qualcosa in musica: siamo nel 2018 e RosGos pubblica il suo primo album, Canzoni nella notte. La musica che avevo quindi accantonato torna a farsi viva e necessaria, come ossigeno, come nutrimento. Mai come ora, mai come in questo momento e contesto storico, la musica è per me sinonimo di pace, di mondo buono, da accudire, da proteggere, da abbracciare.
Citi spesso le adorate Federica e Sara come ispirazione e sorge una domanda indiscreta. Immagino siano tanto fiere di te, come ti percepiscono immerso nel lavoro e nelle tue passioni?
Le mie donne sono semplicemente meravigliose. Anche se dentro di me pulsa ancora un cuore giovane, o quantomeno lo vorrebbe fortemente essere, in realtà sono un vecchio bacucco che avrebbe potuto (e dovuto) abbandonare la musica già da tempo. Ma alle passioni puoi resistere, ma non per sempre. Ti chiamano e continuano a chiamarti fin quando cedi, fin quando ti arriva l’idea che finalmente ti sembra buona, che ti indica la strada da prendere. E a quel punto resistere diventa veramente difficile, come se resistenza equivalesse a violenza contro se stessi. Certo è che Federica mi ha sempre spronato a continuare, a non dimenticare le mie passioni, anzi, a coltivarle e ad arricchirle. Senza di lei, senza il suo sorriso che dice sì, devi fare ciò che ti piace, ciò che ti illumina il cuore, probabilmente avrei continuato in eterno a rimandare. Vederla felice e soddisfatta mentre guarda il suo “ragazzo” perdersi, provare, ricercare, tentare e ritentare, scoprire e capire finalmente il suono giusto, la parola che calza a pennello, è stimolante e appagante. E poi la straordinarietà di Federica è la sua intelligenza che non mette mai in discussione le mie scelte musicali così da permettermi sonni più tranquilli. Sara credo mi veda come un papà creativo, quello che se hai bisogno di inventare una storia ti può dare una mano, che se c’è da creare un gioco nuovo sono la persona giusta, quello che è perfetto per una nuova avventura. Nonostante sia ancora piccolina lei sa benissimo a chi rivolgersi in base alle sue richieste. Per dubbi scolastici difficilmente viene da me, per qualche marachella da programmare mi viene a cercare pure in cantina. Musicalmente è molto distante dalle cose che faccio e mi vien da dire per fortuna. Avrà il tempo, se vorrà, per scoprire cosa combinava quel baldo giovanotto di suo padre.
Un’opera molto sentita e profonda è il libro “Ovunque, sei” in cui metti in ginocchio tutto il tuo orgoglio, tutte le tue certezze per raccontare con tanto cuore e sensibilità una storia che ondeggia tra passato e presente, e sovente si nutre di sofferenza, impotenza e disperazione. Alla fine della narrazione emerge una nuova circostanza in grado di ridare speranza a un destino apparentemente segnato: è il tuo grido d’amore alla vita? La geniale intuizione di inserire una citazione musicale in ogni capitolo del racconto è un modo per lenire il dolore grazie alla bellezza dell’arte?
Ovunque, sei è un libro nato in contemporanea con il primo album, Canzoni nella notte. Inizialmente anche l’album volevo intitolarlo come il libro, ma poi ho preferito non fare troppa confusione, anche se nell’album c’è una canzone, forse la mia preferita, che riporta quel medesimo titolo. Quel libro e quel primo album sono stati necessari. Sono il frutto di interminabili sedute dallo psicologo, solo che dall’altra parte della scrivania non c’erano altre persone ma solo uno specchio con riflessa la mia anima e il mio cuore grondante tanta, tanta sofferenza. Erano anni bui quelli, anni che hanno raccolto le lacrime di lunghe malattie, prima di mio padre e a seguire quella di mio fratello. Lutti che mi hanno inevitabilmente scavato in profondità e una volta terminate le lacrime la sofferenza ha trovato sfogo nella scrittura. Io sono mattiniero e per un anno, molto prima dell’alba, nella solitudine della cucina e all’oscuro di tutti, moglie inclusa, ho scritto e pianto, scritto e pianto, fino ad arrivare a una storia fatta di ombre e vita che si conclude, ma anche di luce e di nuova vita che ha inizio. Mi piaceva ricordare a me stesso la tragicità e la bellezza della vita che sa toglierti tanto ma che sa anche regalarti nuove gioie e felicità. Libro e album hanno poi preso due strade diverse anche se sono nati in contemporanea e per me continuano a rappresentare un fratello e una sorella che si sono presi per mano e abbracciati hanno fatto un pezzo di strada insieme. E difatti scrittura e musica li vedo sempre molto vicini ed è per questo che ho deciso, a ogni capitolo, di inserire stralci di testi di canzoni che rappresentano gli artisti che maggiormente mi hanno aiutato, alleviando con la loro arte la mia sofferenza.
Mia figlia non toglie mai dal suo comodino la storia di “Marco il coniglietto azzurro” scritto da una certa Sara Vaiani. Ammettilo, allora siete una famiglia di artisti!
Ahahah, mi è scappata una risata. Direi che gli artisti sono altri e su questo non c’è ombra di dubbio. Diciamo che ci piace creare, inventare, produrre qualcosa di unico, di nostro. Non significa che per forza di cose produciamo qualcosa di bello e geniale, semplicemente ci piace mettere al mondo qualcosa che non si trova altrove, un pezzo unico che è qui, con noi, nato da noi, e questo ci rende assolutamente orgogliosi. Quel libricino è nato per caso. Era un sabato mattina invernale di qualche anno fa. Io e Sara stavamo facendo una passeggiata e ho iniziato a stuzzicarla, per gioco. Inventiamo una storia. Scegli i protagonisti. Dove l’ambientiamo. Cosa fanno. Come si vestono. Ma soprattutto, che morale vogliamo dare a questo racconto. L’ho riempita di domande e lei snocciolava risposte sempre interessanti. A quel punto la storia mi sembrava carina e allora il giorno dopo l’abbiamo fissata su carta, ho interpellato Marco Spadari, un mio amico illustratore, ed ecco che Marco il coniglietto azzurro ha preso vita. È stata una bellissima soddisfazione e penso, e spero, che Sara ne sarà davvero molto orgogliosa quando tra tanti anni potrà ancora sfogliare quella pubblicazione che ora risiede trionfante nella nostra libreria. In realtà esistono anche un paio di seguiti ma ce li siamo tenuti per noi. Non volevamo troppo successo…
Sei molto attivo sui social: sono sempre tanto attesi da fans e amici gli aggiornamenti sulle registrazioni della tua nuova opera, i video e le recensioni delle tue canzoni e album, ma non ti fermi qui. Da eterno curioso, con competenza, umiltà e modestia, il sabato mattina ci apri una finestra del tuo cuore e offri impressioni e un tocco di poesia narrandoci di libri e dischi. Inoltre, durante la settimana spesso imposti un meraviglioso percorso a tappe su alcuni dei tuoi gruppi/artisti preferiti. Dove trovi tutta questa energia e lucidità per ideare con serenità, giocosità e comunque tanta conoscenza i post e le riflessioni pubblicati? Mi piacerebbe, poi, ci ricordassi le puntate geniali dedicate alla fantastica settenne, ormai settenne+2 vicina al +3…
In realtà il mondo social l’ho sempre usato pochissimo; per molti anni me ne sono servito esclusivamente per scoprire concerti nella mia zona, dato che ero un assiduo frequentatore di musica live. Poi la pubblicazione del primo album a nome RosGos, nel 2018, mi ha spinto a essere più presente per “pubblicizzare” il mio lavoro, per dire al mondo là fuori che anche io avevo sfornato una manciata di canzoni. Quella necessità si è trasformata anche in un piacere perché nel tempo ho conosciuto persone e realtà davvero interessanti che mi hanno arricchito e che tuttora continuano a farlo. D’altra parte io vivo il mondo social come un continuo scambio di informazioni culturali. A volte pure io sono tentato di pubblicare lamentele politiche, economiche, sociali, ma poi mi trattengo perché l’esperienza mi ha insegnato che generalmente da quei post nascono polemiche, incomprensioni, e sinceramente la vita quotidiana è già talmente ricca di grattacapi che non ne sento il bisogno di aggiungerne altri gratuitamente. Ecco allora che cerco di renderlo utile, nel mio piccolo, con le scarse conoscenze che ho, parlando delle mie passioni, che principalmente sono la lettura e l’ascolto della musica. Da qui l’idea di parlare in poche righe di un libro e di un album letto e ascoltato in settimana, e lo faccio con brevi post il sabato. Non sono assolutamente recensioni, non ne sono capace, ma dei semplici consigli. Ma resto comunque un incapace social e la dimostrazione è che dovrei pubblicizzare i miei lavori musicali anche su altre piattaforme ma in realtà non lo faccio. Ho aperto anche Instagram proprio per questo motivo, ma mi ha annoiato dopo due settimane. L’idea invece dei post su mia figlia, sulla splendida settenne, sono nati durante il periodo di lockdown. Un po’ per gioco e un po’ per riempire quei silenzi drammatici interrotti solo dal suono delle sirene delle ambulanze, ho cominciato a pubblicare qualche aneddoto semi-serio legato alla vita di Sara. È durato circa un anno, con cadenza settimanale, ed è stato molto piacevole notare come molte persone aspettassero la domenica per scoprire quale fosse stato l’oggetto del post. Ovviamente la settenne non era a conoscenza di nulla e ancora adesso non sa che quei post e quelle immagini le ho raccolte in un libro che ho stampato e che, spero piacevolmente, scoprirà quando sarà più grande. Non sono in definitiva un mago del mondo social, credo di non conoscere il 70% delle funzioni possibili, non so manco pubblicare una storia o un reel o altre diavolerie del genere; diciamo che mi fermo alle basi: un’immagine e parole a corredo. Non so fare altro.
Tante volte con superbia e voglia di sminuire una passione, un’arte e un oscuro e faticoso lavoro di mente e sentimenti, nel mondo odierno vive lo stereotipo che la musica e l’essere musicista in fondo non possa mai essere una vera professione/vocazione o comunque possa risultare alla portata di tutti: seguendo questo ragionamento banale, chiunque, anche poco istruito in tal senso, semplicemente impegnandosi in poco tempo, potrebbe sviluppare un testo, intessere una melodia e cantarvi sopra. Un po’ come prendere ad esempio senza capirne il vero significato “Una Canzone Per Te” di Vasco, quando racconta che “Le mie canzoni nascono da sole, vengono fuori già con le parole”. In realtà nella maggior parte dei casi un brano musicale è fonte di poesia, magia e approfondimenti accurati, per cui ci sono tanto studio e passione dietro, oltre certamente al fatto che un vero musicista probabilmente ha doti innate, possiede già un fuoco e un’arte dentro di sé, il che lo aiuta notevolmente. Ma senza dedizione, sacrificio e applicazione non si costruisce niente di duraturo, è ora di smentire questo luogo comune, non trovi?
I mezzi tecnologici moderni hanno permesso il proliferare di scrittori e musicisti. Tutti ormai possiamo scrivere un libro e pubblicarlo o scrivere canzoni e pubblicarle. L’ho fatto pure io. Apparentemente una buona cosa democratica. Ognuno ha la sua possibilità. Ovviamente poi sarà il mercato, il pubblico, a decidere il valore delle tue opere, che è la somma di molti fattori e non certamente solo delle qualità musical-letterarie. Ciò che fa la differenza è l’intenzione e l’intelligenza. Per intenzione intendo dare una risposta a questa semplice domanda: perché sto per scrivere un libro o per comporre delle canzoni? Per cercare la fama, il successo, un riconoscimento pubblico? O per una necessità personale? Come dicevo in una risposta precedente il mio primo album è stato letteralmente necessario, ma certamente non per il mercato e per il pubblico, ma per me. Avevo cose da dire, sofferenze da buttare fuori, lacrime da non far cadere più inutilmente a terra ma dovevano essere raccolte e trasformate in emozioni musicali. Ecco perché ho scritto l’album Canzoni nella notte: per me, per regalarmi un aiuto. Poi è ovvio che se arriva un riconoscimento pubblico va benissimo, meglio ancora. Ma l’intenzione iniziale non è quella per me. Per intelligenza invece intendo quella qualità critica, che spesso non abbiamo, per capire quanto valore ci sia in ciò che offriamo. Prendiamo la mia musica. So di non essere un autore dotato, diciamo che sto in una grande media, ma quella sensazione mi permette di rendere pubblico ciò che faccio, di consegnare al mercato il mio lavoro che sarà oggetto di critiche positive e negative. Prendiamo il mio libro. So di non essere manco lontanamente uno scrittore dotato, diciamo di essere scarsamente sufficiente. E quel senso critico mi ha spinto, grazie a Dio, a stampare pochissime copie che sono poi state regalate agli amici. In definitiva, per rispondere alla tua domanda, tutti abbiamo la possibilità di pubblicare musica e libri, ma a scuola ci dovrebbe essere anche un corso di autocritica che non farebbe male. Che poi non è che sia una passeggiata fare un album musicale, se lo vuoi fare bene. Io generalmente sto in ballo un paio di anni. Suddividendo il percorso in tappe farei questo elenco: scrivere le canzoni (e già non è che sia così semplice e naturale), scrivere i testi (non basta saper scrivere dei bei temi, ahimè), trasformare con un produttore un vestito rattoppato in un abito da cerimonia, trovare i suoni giusti (o per lo meno quelli che piacciono a te), incastrare le parole nelle metriche, trovare le giuste melodie, cantare, riprovare, cantare, modificare, cancellare, ricantare, mixare il tutto più volte fin quando non sei soddisfatto, fare un buon master. Oh, finalmente sono arrivato alla fine. Eh no! Adesso comincia il bello: trovare un’etichetta per la pubblicazione, un ufficio stampa che vorrà delle belle fotografie, un artwork accattivante, stampare dei cd fisici, parlarne con le piattaforme musicali online, cartacee, terrestri, extra-terrestri. Insomma, un mezzo incubo! Spero vi sia passata la voglia di investire il vostro tempo (e i vostri soldi) in musica.
Il nuovo album sarà ancora tutto in inglese? Hai abbandonato l’italiano per questioni di genere e metrica? E sempre discutendo di abbandoni, non ti mancano le esibizioni dal vivo, perché non perpetuarle? Avresti sicuramente un seguito notevole e ti si aprirebbero altre porte…
Il nuovo album che credo di pubblicare il prossimo anno sarà di nuovo interamente in inglese. Solo per il primo album, Canzoni nella notte, ho sfruttato la nostra lingua. Erano troppo importanti le cose che volevo dire, le emozioni che volevo estrapolare e quindi avevo la necessità di usare un idioma che mi facesse sentire il più sicuro possibile. Per gli album successivi sono tornato all’inglese perché ho iniziato a trattare tematiche più universali, ben al di fuori del solo mio contesto personale. E poi sì, l’album in italiano è molto cantautorale, il pianoforte la fa da padrone, mentre invece gli album successivi hanno un respiro più “internazionale”, consentimi questo termine, e quindi anche il gioco delle metriche e delle sonorità mi ha spinto in quella direzione. Per quanto riguarda i concerti no, non ne sento la mancanza. Ne ho fatti talmente tanti dai gruppi di cover ai Jenny’s Joke che veramente non ne posso più. Anche perché la gente pensa che il musicista arrivi nel locale venti minuti prima, attacchi la spina e via. In realtà bisogna mettere in conto una gran fatica. Non lo faccio come professione e quindi solo dopo il lavoro bisogna caricare tutta la strumentazione in macchina, lanciarsi in direzione del locale che magari è a 100 km di distanza, scaricare, montare, fare i suoni, mangiare un panino e bere una birra con l’imbuto, suonare, smontare, caricare in macchina, tornare a casa, scaricare la macchina, collassare. Alla mia età anche basta. Suonare dal vivo credo sia la più grande soddisfazione che un musicista possa avere ma bisogna cercare di farlo con rilassatezza, con piacere. Se diventa solo fatica allora è meglio lasciar perdere. Io sono nella fase fatica. Ma non si sa mai…
Adesso ti cito una canzone preferita per album e gradirei sapere cosa pensi delle mie scelte. Sottolineo che potrebbe sembrare un giochino banale, ma non è per niente facile farlo, poiché ti ritengo un Maestro nel comporre la tracklist, dall’ordine dei brani fino alla decisione importantissima riguardante quali includere e quali no. In poche parole trovo le tue composizioni indissolubilmente legate una all’altra e questo forse è il segreto che ti permette di incollare l’ascoltatore al disco per tutta la sua durata…Due Lame/Mary Ann/ Treachery
Grazie delle tue belle parole, mi fanno enormemente piacere. Anche perché sì, fare una tracklist di un album non è una passeggiata, non viene fatta a cuor leggero. Cerco sempre di dare un senso a ciò che produco. E per poterlo fare si ha anche la necessità di mettere in fila ciò che vogliamo dire, abbinare a ogni canzone il giusto testo. Ci sono poi canzoni che a malincuore non trovano spazio. Per Circles ad esempio ho eliminato un paio di canzoni notevoli, davvero belle, ma avevano un mood che poco aveva a che fare con il resto del gruppo. A me non basta una bella canzone se poi non si sposa bene con il resto della truppa. Anche per il nuovo album siamo partiti da una trentina di bozze e attraverso varie scremature siamo arrivati a tredici, per poi eliminarne due già praticamente finite. Dispiace sempre un sacco ma sono scelte inevitabili. Se fossi un gruppo famoso tutte quelle scartate finirebbero in album b-sides, in modo da non sprecare nulla, come per il maiale. Le tue scelte non mi sorprendono per due/terzi. Due Lame, che è forse il mattone più pesante che io abbia mai scritto, è la mia preferita dell’album in italiano, unitamente a Ovunque, sei. Non mi piace spiegare del perché di certe canzoni, della loro nascita, e non lo farò nemmeno in questa sede. Posso solo dire che le lame in questa canzone rappresentano l’amore che ti trafigge il cuore. Mary Ann, ecco questa mi sorprende un pochino. A dire il vero a molti questa canzone è piaciuta, anche a me naturalmente, altrimenti l’avrei cestinata! Ma dell’album Lost in the desert le mie preferite restano To Daydream con quella vena psichedelica e Lost con quella vena folk gotica omaggio ai miei amatissimi Wovenhand. Treachery, dall’ultimo album Circles, la trovo pure io bellissima. Ha quell’incedere caldo e avvolgente e poi quella chitarra acustica sul finale, omaggio del mio produttore Toria, è davvero una perla che merita di essere ascoltata. Se dovessi scegliere unicamente una canzone pescando da Circles io andrei su Violence che credo raccolga molto bene il mio spirito musicale, fatto di piani e forti, di carezze e pugni, di tensione trattenuta a stento.
Ramones, U2, Cult, Cure, Depeche Mode, Nick Cave, Litfiba, CCCP, Afterhours, P J Harvey, Alice in Chains, Mark Lanegan, dEUS, 16 Horsepower, Blonde Redhead,Micah P. Hinson, Wovenhand…Chi manca tra i tuoi prediletti e che mi racconti di questo elenco? Come definiresti la Tua Musica?
Hai fatto un elenco praticamente completo, scegliendo accuratamente i miei favoriti. Se voglio fare il pignolo allora aggiungerei i CSI e i Marlene Kuntz per l’area italiana e gli Exploited per coprire l’area punk, il mio grande amore giovanile. Come si può notare leggendo l’elenco non sono mai stato “schiavo” di un solo genere. A me è sempre piaciuto spaziare. Sono alla continua ricerca di coordinate musicali che sappiano emozionarmi e quelle cambiano naturalmente seguendo i miei cambiamenti. Ecco perché ci ritroviamo musica potente come quella punk e anche musica riflessiva come i CSI ad esempio. Sembrano musiche lontane anni luce tra di loro, e magari lo sono anche, ma in realtà a me hanno regalato emozioni e questo basta per rendere quei progetti vicini tra di loro. E alla fine la mia musica non è altro che la somma di tutti i miei ascolti, ma non solo degli ultimi anni, anche se involontariamente tendono a comandare, ma di tutta la mia vita in qualità di fruitore musicale. Credo che la musica sia un’arte fortemente malleabile e che tutti, grandi compresi, abbiano avuto dei riferimenti iniziali molto forti ai quali poi hanno aggiunto la loro visione. E ovviamente più un musicista è dotato e geniale e più quella base di partenza si trasforma fino a diventare il suo marchio di fabbrica. La mia musica è semplicemente rock, a volte con sfumature più folk, a volte schiaccia l’occhio al filone dark-wave, a volte sa anche essere pop. In un futuro, chissà quanto lontano, non ti nascondo che mi piacerebbe fare un disco fortemente influenzato dall’elettronica.
Ultimamente trovo ancora tanti gruppi e musicisti veramente validi, ma mi paiono soffocati sempre più dall’indiscriminato correre senza una meta di quest’epoca liquida, che instilla, nei comuni fruitori di musica, pigrizia nella ricerca e impossibilità di condivisione di eventi e dischi degli artisti al di fuori dei soliti noti. Chi ha la fortuna, sovente non solo per meriti propri, di ricevere l’attenzione dei media e massiccio airplay radiofonico va avanti, prima di essere scaricato a sua volta in favore di qualcos’altro in quel momento più appetibile. In sincerità questo mi sembra un metodo per scavare solo in superficie e offrire qualità scadente…
Quello che racconti nella domanda è esattamente quello che accade oggi nell’era social. Vince, ossia viene ascoltato da più gente, non necessariamente chi ha da offrire il prodotto musicale migliore. Raramente accade. Tutto il resto è immerso in un mare di grande mediocrità. E purtroppo in quel mare ci sono artisti e progetti davvero notevoli, validissimi, ma che purtroppo non ottengono la giusta visibilità per mille motivi. A volte perché non sanno vendersi bene, a volte perché trovano etichette talmente mediocri il cui unico interesse è spillare quattro soldi senza davvero interessarsi al progetto, a volte perché semplicemente non hanno il tempo per far “viaggiare” la loro musica. Non dimentichiamoci infatti che il più delle volte il progetto musicale è completamente a carico dell’artista, soprattutto a livello economico, e di conseguenza molti abbandonano ancora prima di iniziare. Io credo che molte volte, troppe volte, la visibilità arrivi a chi in sostanza ha investito di più. Il potere economico, come spesso accade, fa la differenza. Poi arrivano sul podio anche i davvero meritevoli, ma con grande fatica. Per noi fruitori di musica è sempre più difficile capirci qualcosa, trovare il tempo per capire quale progetto possa essere o no di nostro gradimento. Ecco allora che tornano alla ribalta quelle fanzine che si dedicano alla divulgazione e alle quali io mi aggrappo fortemente perché spesso riesco a trovare chicche che altrimenti sarebbero perdute.
“Quando sei tanto giovane non riesci a credere che ti possa venire meno la capacità di essere così entusiasta e spavaldo nei confronti del mondo, della vita, dell’esperienza. Sei convinto di avere praticamente scoperto tutti i segreti della vita. Rock ‘n’ Roll Suicide era un modo per dichiarare la fine dell’effetto-giovinezza”. Quanto ti riconosci in queste affermazioni di David Bowie e che dobbiamo aspettarci dal tuo prossimo lavoro, dai tuoi futuri progetti?
Mi ci ritrovo al 100%. La giovinezza ti regala il potere del Sogno, di pensare che hai tutta la vita dinanzi a te per fare, esplorare, conoscere, vincere, perdere, con lo sguardo sempre proteso oltre gli ostacoli. Poi a un certo punto tutto si trasforma, e manco ci accorgiamo del momento esatto di questo cambiamento. Semplicemente lo subiamo con lo scorrere del tempo e con gli ostacoli che si fanno sempre più alti e con gli occhi che si fanno sempre più bassi per guardarli bene quegli ostacoli. Credo che l’eterna giovinezza, l’eterno pensare giovane, sia un desiderio comune, per la maggior parte di noi diversamente giovani. Il mio prossimo album chiuderà la trilogia del viaggio. La prima tappa con Lost in the desert riguardava lo smarrimento, la seconda tappa con Circles era concentrata sull’introspezione, nell’ultima tappa invece farò visita al senso di annullamento e alienazione. Come sempre, un argomento molto leggero ?
Caro Mauri, siamo giunti alla fine. Mi piacerebbe, come ciliegina sulla torta, che mi parlassi delle persone che sono state per te importanti nella tua carriera musicale.
Parlare di carriera mi sembra un pochino esagerato. Diciamo che ci sono state persone che in un determinato momento storico sono state molto importanti. Parlo ad esempio dei miei soci del progetto Jenny’s Joke con i quali, con coraggio, abbiamo prodotto e pubblicato album che ancora adesso mi piace riascoltare. E poi nell’epoca attuale un ringraziamento speciale va assolutamente al mio socio e amico Toria che in qualità di produttore mi aiuta a trasformare le mie bozze informi in piccoli quadri da ammirare. E non mi dimentico affatto di Andrea Liuzza che con la sua etichetta Beautiful Losers mi aiuta concretamente in molte fasi del progetto. Un ringraziamento speciale a mia moglie Federica che sempre mi supporta nei miei hobby, nei miei progetti, consapevole di quanto siano importanti e vitali per la mia sanità mentale. Ringrazio tutti coloro che hanno ascoltato le mie canzoni, fortuitamente o volontariamente, senza alcuna distinzione, nella speranza che possa essere rimasta in loro una piccola emozione. Per concludere un grazie di tutto cuore a persone come te, Ale, che attraverso la loro passione pescano da quel grande mare piccoli pesciolini come me, regalando piccole e impagabili soddisfazioni.