A cura di Alessandro Vailati
L’artwork di No Place
«I dolori che hanno generato e accompagnato questo pellegrinaggio non sono dimenticati. Sono invece accettati, assimilati e incisi nella carne. Forse siamo approdati, come suggerisce il titolo, in un non-luogo in cui trovare la pace». Maurizio Vaiani
«La chiusura di una trilogia coincide, per RosGos, con un album dall’identità precisa e dal tratto artistico personale; suggestioni sonore e tensioni emotive plasmano un’impronta lontana dai generi e piacevole da apprezzare lungo l’intera tracklist». Estratto da Rockit, Giandomenico Piccolo.
No Place è un disco intenso, sofferto. Un viaggio ancora nell’oscurità, ma sempre alla ricerca della luce. Un percorso faticoso, forse impossibile da affrontare. Alte scalate e lunghe, spaventose discese separano dalla meta, ma non si sarà mai capaci di raggiungerla se non si comprende che spesso si può essere contemporaneamente tristi e felici.
La nostra mente elabora pensieri anche contraddittori e in quella contraddittorietà c’è tutta la “bellezza” della condizione umana. Maurizio Vaiani, in arte RosGos, lo ha capito e l’intero album è un susseguirsi di gioie e tormenti, di angosce mai sopite e umori contrastanti. Tuttavia, forse nell’accettazione di tale stato imperfetto, nel sentirsi sempre a un passo da qualcosa senza riuscire completamente a raggiungerla sta il significato di questa esistenza.
Una specie di elogio dell’imperfezione, di empatia per chi soffre e non molla riecheggia nelle dieci canzoni di No Place ed è intrigante analizzarle una per una, con l’aiuto di alcuni esperti musicofili che hanno recensito il disco e il commento di chi ha scritto questa opera.
Si aprano pertanto le danze dell’anima con la traccia numero uno, My Cure. Benvenuto, caro Maurizio, partiamo con Marcello Berlich, dallo storico blog Crampi2: «E’ una luce che si identifica con l’amore, attorno a cui ruota tutto il lavoro, ma è un amore tutt’altro che idilliaco e rasserenante, o meglio: è un amore al quale ci si aggrappa, di cui si ha un bisogno quasi vitale – non a caso, forse, il disco è aperta dalla metafora di un amore come ‘cura’».
Amare è una condizione alla quale si tende quasi inevitabilmente. Amare è un po’ come respirare e quando l’amore se ne va sembra che se ne vada pure l’aria. Ma amare non è mai facile. Dietro l’angolo ci sono le incomprensioni che aspettano con la bava alla bocca. E’ sempre un gioco di equilibri tra il saper donare il più possibile e il saper ricevere senza pretese. Una condizione difficile da raggiungere ma alla quale tutti dovremmo tendere. Ed è su quell’equilibrio instabile che ci tendiamo la mano per non cadere ma, anzi, per avanzare sempre di più. Ecco ciò che ho pensato mentre scrivevo My Cure. Gettare lontano coltelli inutili e pericolosi per liberare le mani, stringersi l’un l’altro e avanzare insieme. My Cure è stato il primo singolo estratto dall’album con un bellissimo video ad opera di Andrea Liuzza, boss di Beautiful Losers. Vi consiglio di buttarci un occhio.
E ora è il turno di Doll, da Sounds Good Webzine: «Un brano la cui impostazione fluida e dinamica, riesce a tenere amalgamato l’ascolto regalando una traccia corposa e con una metrica esaltante ed una voce soffusa e decisa».
Doll mi ha regalato molte soddisfazioni. Probabilmente la canzone del disco più amata dal pubblico. Mi fa molto piacere perché fin da subito ho capito che era una canzone con carattere, che poteva far breccia nel cuore di molte persone. E così è stato. E’ anche vero, dato che son matto, che al momento della scelta dei due singoli Doll è stata esclusa preferendo My Cure e Shelter. Perché? Ma ve l’ho detto: perché son matto! Comunque, parlando seriamente, la scelta dei singoli non era basata solo considerando strettamente la musica, ma il messaggio della canzone. E i due singoli scelti per me ricoprivano esattamente quella funzione. Doll ha comunque percorso egregiamente la sua strada risultando di gran lunga il pezzo più ascoltato del disco. Ho ricevuto apprezzamenti e condivisioni con radio e playlist di tutto il mondo, dal Brasile all’Australia, passando per USA e Costarica e molti altri Paesi. Una bellissima soddisfazione.
Antonio Bianchetti di intonazioniconseguenti.com ci parla di Bleeding Souls: «Una carezza confessionale che scivola pian piano nell’oscurità».
Prima di tutto mi piace ricordare con affetto il carissimo Antonio che ci ha lasciati da poco. Un poeta meraviglioso che con grande umiltà amava ascoltare anche perfetti sconosciuti, come il sottoscritto, per dedicare loro le sue parole, le sue emozioni. Davvero una perdita che mi rattristato moltissimo.
Bleeding Souls è probabilmente la canzone più scura del disco, con quel suo incedere lento e soffuso, sussurrato. Una canzone nata una decina di anni fa, messa all’angolo perché non adatta in altre circostanze ma mai dimenticata. E con No Place ho sentito che probabilmente stava nascendo la sua casa, inserendola nella tracklist. Sono contento abbia finalmente trovato casa. La cosa strana, o quantomeno bizzarra, è che ho avuto feedback da persone lontanissime dal mondo sonoro dipinto da questa canzone, esaltandone la bellezza. Resto sempre affascinato da queste dinamiche a me oscure: brani che ritieni di difficile ascolto e che invece sono frutto di piacevoli sorprese.
«Unexpressed Love esprime invece tutta l’impotenza di fronte a un amore frustrato, non corrisposto», racconta Valentina Natale di Indies for Bunnies.
Unexpressed Love è il brano più energico dell’intero album. Mi serviva un po’ di cattiveria per fronteggiare proprio la frustrazione e la delusione, temi portanti del pezzo. In questo brano sono messe probabilmente ancora più in evidenza le scelte che io e il Toria, produttore di No Place, abbiamo fatto a tavolino prima di cominciare la registrazione. Mi sembrava, e credo che la scelta alla fine abbia premiato, che per ciò che volevo dire fossero adeguati i suoni meno puliti possibile, esaltando, al contrario, la precarietà di suoni grezzi e sporchi. Mi rendo conto che così facendo taglio di netto una parte di possibili ascoltatori, che preferiscono la pulizia e la definizione precisa dei suoni, ma non avrebbero accontentato il sottoscritto e soprattutto non sarebbero stati i mezzi adeguati per trasmettere quello che avevo in testa. Alla fine, dal basso della notorietà del progetto RosGos, è facile per me fare scelte meno “educate”, non devo facilitare ascolti, i conti li devo fare solo nei confronti di me stesso e lì voglio la massima onestà, a cominciare dai testi e dai suoni.
RosGos, al secolo Maurizio Vaiani
Massimo Salari di NonSoloProgRock definisce The Slide «Un’altra piccola coccola per l’udito. La luce s’intravede come un piccolo spiraglio nel buio in questo “non posto”».
Abbiamo da poco lasciato il brano più energico per approdare a quello che probabilmente è il brano più delicato dell’album. Mi piace creare questi contrasti. Rispecchiano un po’ la vita, fatta di gioie ma anche di dolori, di giornate meravigliose ed altre totalmente da dimenticare. The Slide voleva essere una carezza, un dolce ricordo. Un parco nel quale giocare a nascondino, a correre a perdifiato con gli amici, a sentire l’aria fresca nel saliscendi dell’altalena o nella ripida discesa di uno scivolo. Ecco allora quei suoni elettronici che si ripresentano e che ci sono serviti per creare un mondo sonoro, un mix tra il giocoso e il malinconico. Per arrivare a quella ruota finale che gira e gira, sinonimo di gioco e divertimento, fin quando rallenta e si ferma. Ecco, il gioco sembra essere finito per lasciare spazio alle vicissitudini adulte.
E arriviamo alla sorpresa di Among Your Dreams, con Julian Drucker, direttamente da Los Angeles, che apre a un argomento a te molto caro, le sincronizzazioni: « Bel brano, mi piace l’atmosfera misteriosa e il modo in cui l’energia aumenta verso la fine. Ha un feeling cinematografico che potrebbe renderlo adatto a vari contesti di sincronizzazione».
Ho cominciato con Circles, l’album precedente, a sondare il mondo legato alle sincronizzazioni, ma è con l’attuale No Place che sono andato più a fondo e, fortunatamente, mi sta regalando qualche piccola soddisfazione. Tutto ha avuto inizio con alcuni feedback, sia di recensori che di semplici ascoltatori, che mi hanno fatto notare quanto, nel loro sentire, ci fosse qualcosa di cinematografico nei miei pezzi. Era un messaggio che mi arrivava da più parti e al quale ho voluto dar credito. Mi sono rimboccato le maniche e mi sono intrufolato in un mondo tanto vasto quanto complicatissimo. Tutte le agenzie che ho contattato in Italia, una decina, mi avevano nel frattempo dato la medesima risposta, ossia il nulla di fatto. Tutte avevano il “loro” autore e non c’era spazio per altri. Neanche avrebbero ascoltato i miei brani, mi avvisavano. Ed è questa la cosa che più mi feriva. Non pretendevo di essere accolto a braccia aperte, ma sarei stato felice anche di un semplice ascolto. Mi sono allora lanciato sul mercato estero e assolutamente inaspettatamente mi sono arrivate risposte positive che mi hanno riempito di orgoglio. Alcuni brani, Doll, My Cure, Among Your Dreams, The Slide, Bleeding Souls, sono stati ben accolti da agenzie sparse per il mondo, dalla Francia, al Brasile, agli Stati Uniti, che hanno voluto inserire alcuni miei brani nel loro catalogo. Non so se mai il mio sogno si avvererà, ma già il fatto di essere ascoltato e apprezzato da realtà lontanissime, e nel contempo ben presenti sul mercato cinematografico di tutto il mondo, mi riempie di felicità.
«Menzione speciale per Dance with Me, una traversata solitaria del deserto interrotta dalle note di un organo che ci trascina in una chiesetta dove qualcuno danza per e con noi, probabilmente un miraggio ma così realistico che qualche luccicante granello di sabbia potrebbe rimanerci nel fondo delle tasche». Che ne pensi di questa analisi di Marco Sabatini?
Marco è una grande penna e ha costruito un’immagine bellissima intorno alla canzone. Una sua visione che può assolutamente essere condivisa da molti altri, da me senz’altro. Ciò che ho sempre cercato di fare con la mia musica, ancora prima che con i testi, è creare un mood sonoro, un tappeto di note nel quale ognuno può mettere cose e pensieri e personaggi, fino a diventare il suo piccolo mondo. Ho in testa ovviamente il mio di mondo, ma non voglio assolutamente venderlo ad altri. Mi piace invece dare spazio all’ascoltatore, a spronarlo ad avere la sua visione, a immaginare quella canzone come sottofondo del suo di mondo. Mi ricollego un pochino alla risposta precedente: ecco crearsi quelle sensazioni cinematografiche. E per me è pura gioia ricevere recensioni come quelle di Marco, perché il mio intento è raggiunto. Ne sono felice.
So che sei molto legato a Shelter: senti cosa dice Gianni Vittorio dalle pagine di Liberi-pensieri: «Si avvicina ad un certo tipo di rock autoriale che mescola elettronica e alternative, un po’ à la Mark Lanegan per intenderci».
Shelter è la mia preferita, ha un significato profondo per me, per un duplice motivo. Il primo è che rischiava di essere cestinata. Sembrava che non ci fosse alcun modo per farla suonare decentemente. Ogni volta che io e il Toria tentavamo una strada sembrava non essere quella giusta. E poi, come a volte accade, da una piccola idea nata da una sensazione, ecco che si è trasformata nel piccolo fiore che ora conosciamo. Sono estremamente felice del risultato finale. E il secondo motivo è legato al fatto che dal punto di vista testuale credo sia la canzone che racchiuda il senso di No Place. Siamo alla continua ricerca di qualcosa che ci faccia stare bene, sereni, con noi stessi e con gli altri. E questo luogo / non-luogo è una sorta di riparo, da tutto ciò che ci circonda e che non ci piace, un riparo in cui trovare finalmente la pace. I riferimenti che cita Gianni sono tutti nelle mie corde. Amo Lanegan da sempre, amo le sue cose soliste e le tante collaborazioni in cui è stato ospite, quindi inevitabilmente qualche richiamo c’è, anche se lui ha la Sua Voce inimitabile e inarrivabile. Credo di avere però una piccola fortuna: non tendo mai a copiare, anche se potrebbe accadere inconsapevolmente. Questa tendenza mi aiuta a creare il mio piccolissimo mondo, piccolissimo ma fortemente mio.
Andrea Musumeci, di Fotografie Rock, vede No Place in questo modo: «Elettrificazioni shoegaze, vibrazioni desert-psichedeliche, post-punk ipnotico e straniante».
Con Andrea abbiamo avuto un piacevole scambio di battute proprio in merito alla recensione della canzone No Place. Uno scambio in cui lo congratulavo per la visione corretta che aveva avuto del brano. E la parola chiave è proprio straniante. Non ho l’abitudine di dare ad una singola canzone il peso di dare il titolo anche all’album. Con No Place mi è invece venuto naturale. Generalmente se viene fatta questa scelta è perché quella canzone rappresenta in qualche modo l’album stesso. Se vi ascoltate questo lavoro noterete che la canzone è lontana mille miglia da tutto il resto. Sia come mood che come sonorità, come incedere, come arrangiamento, per come canto, davvero sembra una canzone che sia lì per caso. E allora perché questa scelta, potrebbe chiedere qualcuno. E’ proprio questo senso straniante che me l’ha fatta accostare al personaggio del disco. Personaggio che ricordo essere alla ricerca di una sorta di pacificazione, di un luogo dove stare bene, ma nel mentre è costretto a vivere una quotidianità fatta di grattacapi, di incomprensioni, di corse a perdifiato. Un personaggio che a volte si sente lontano da tutto ciò che lo circonda, proprio come la sensazione che si ha nell’ascoltare il flusso del disco arrivando a questa traccia. Che ci fa qui questa canzone? E’ probabilmente la stessa domanda che a volte si pone il personaggio protagonista.
Infine la poesia di Nicola Chinellato da Loudd per I Still Need You, nella quale è inclusa anche una ghost track: «La chiosa fragile, sospesa ed emotivamente disarmante di “I Still Need You”. Un finale che sa di accettazione e pacificazione, di ritrovata pace, di luce, nonostante tutto il male che ci circonda».
Nicola è una penna felice, come si dice in questi casi. Con le parole sa dipingere quadri di rara bellezza. E lo ringrazio, ogni volta, per le stupende immagini che sa creare intorno alle canzoni.Ha azzeccato il senso del disco. Siamo arrivati al termine del viaggio e probabilmente il luogo tanto ricercato non è ancora stato trovato, ma, di fronte ad una sorta di rassegnazione si insinua quel bellissimo senso di pace, dato dal fatto che spesso è lì davanti a noi il luogo che cerchiamo, nell’amore delle persone che ci circondano. Il personaggio finalmente lo capisce e lo grida al mondo intero: per stare bene, per raggiungere quella pace tanto desiderata, ho ancora tanto bisogno di Te. Ma attenzione, perché con i suoni e le emozioni ormai sopite ecco arrivare quella brevissima ghost track che semplicemente è lì per ricordarci che ok, forse stai meglio, ma non abbassare mai la guardia, perché tutto quello che ci circonda non è un mondo bellissimo e per affrontarlo ogni giorno devi approfittare del riparo che hai trovato e che ti ha dato protezione e sicurezza e pace.
Un bellissimo scatto tratto dal video di My Cure
In (quasi) chiusura, ho piacere di ricordare l’accostamento della tua opera ai lavori di Mike Johnson fatto da Carlo Bordone di Rumore e di evidenziare le belle argomentazioni di Gianni Gardon per Vinile: «No Place ci restituisce, in definitiva, un artista in pieno fermento creativo, capace di sorprendere a più riprese».
Quando si ricevono recensioni così belle e con riferimenti così alti, non fa che farmi enormemente piacere. Gianni ha un’umiltà meravigliosa e lo mette sempre nelle condizioni di ascoltare e recensire un disco stando un passo indietro all’artista. Ha questo senso di rispetto che ammiro molto e che sicuramente gli permette di recensire dischi senza idee preconcette. E’ una qualità enorme. Il fatto che No Place venga considerato un album frutto di grande fermento creativo mi riempie di gioia. Non sono un ragazzino e quindi con l’età il fermento creativo tende inevitabilmente a scemare. Il fatto che si senta ancora mi rende molto felice e soddisfatto. E per la citazione di Carlo Bordone, che dire. Mi ha spiazzato, ma mi ha riempito il cuore di una gioia immensa. Mike Johnson è un quasi dimenticato un po’ da tutti, nonostante ci abbia regalato alcuni album di una bellezza mozzafiato. Il fatto che in un qualche modo, in un qualche soffio di note o di voce, gli sia apparso nei suoi pensieri, beh, mi rende semplicemente felice e orgoglioso.
Infine ti cito tre persone: Andrea Liuzza di Beautiful Losers, il produttore Toria e Barbara Vecchio di Radio Zinzine. Quanto sono stati importanti per lo sviluppo di No Place?
Hai citato tre persone che hanno letteralmente scolpito No Place insieme a me. E’ vero che scrivo le canzoni, sono l’autore direbbero alla SIAE. E’ anche vero che sono assolutamente consapevole, e questo da sempre, che non ho le capacità per fare tutto da solo, per raggiungere il meglio da solo. Lo posso fare con l’aiuto di chi sa fare le cose meglio di me. Ecco allora Andrea Liuzza che oltre ad aiutarmi fattivamente nel diffondere la mia musica in qualità di capo assoluto di Beautiful Losers, è anche colui che mi regala le immagini, che dà forma alle musiche trasformandole in racconti cinematografici. E’ grazie a lui che RosGos porta al pubblico video bellissimi e artwork che spronano ad immaginare mondi, che trasformano in quadri musiche e parole. Con Barbara Vecchio abbiamo avuto uno scambio fitto di idee. Io dall’Italia e lei dalla Francia, avvicinati dalla potenza tecnologica e dalla forza della musica. Come amo definirlo, è stato semplicemente un flusso di pensieri. Non ci scambiavamo testi, non mi proponeva liriche preconfezionate. Era letteralmente un flusso, senza una destinazione precisa, senza un giudice nel mezzo a indirizzare i pensieri da una parte o da un’altra. Flusso di pensieri che ho catturato, sezionato, trasformato, cestinato, illuminato, fino a trasformarlo in testi. E’ stata un’esperienza per me unica e arricchente. Per Barbara non so, forse un incubo ahahah. Ma credo che le abbia fatto piacere, in qualità di giornalista, ad assistere alla nascita di un album: dal provino in cantina alla canzone scelta per il catalogo di sincronizzazione cinematografica. Spero resti anche per lei un bel ricordo e una bella esperienza. Per il Toria, oddio, non ho più aggettivi per definirlo. Lui è il produttore, lui è colui che trasforma i miei provini e le mie chiacchiere in canzoni. Il viaggio sonoro appena concluso, quello che amo definire la Trilogia del viaggio, e che include Lost In The Desert (2020), Circles (2022) e No Place (2024) è stato scolpito con il Toria. Abbiamo percorso strade assolate e piacevoli, ma anche stradine fangose e piene di buche. La parte creativa, dare una forma musicale alle idee, non è mai semplice e generalmente è frutto di molte incomprensioni, discussioni, incazzature. Siamo due caratteri che non cedono facilmente, ognuno con la propria visione e che a fatica cedono a compromessi. Quella tenacia che ci fa combattere per ogni suono, per ogni secondo di ogni canzone. E’ letteralmente una lotta, ma sono convinto che proprio grazie a questa continua ricerca e a questo non accontentarsi abbiamo fatto qualcosa che porteremo nel nostro cuore con grande orgoglio.
Un’emblematica immagine proveniente dal video di Shelter