OTTOBRE (A cura di Alessandro Vailati)
See the Light di Jeff Healey compie trentacinque anni: ripercorriamo la storia di questo incredibile personaggio attraverso il suo disco più importante, che lo ha immediatamente innalzato allo status di Guitar Hero.
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«Jeff Healey rivoluzionerà il modo in cui si può suonare la chitarra!» Parola di Stevie Ray Vaughan. Detto, fatto. A partire dall’esordio See the Light niente è stato più come prima, e, prendendo spunto dal titolo del disco, non è necessario essere in grado di vedere davvero, per vedere la luce. Questa è la lezione che ci lascia uno dei più grandi chitarristi vissuti su questa Terra.
Una storia incredibile fin dall’inizio. Norman Jeffrey Healey nasce a Toronto, in Canada, nel 1966, e viene subito adottato da una famiglia residente nel west end della città. Il padre, pompiere, è tanto fiero del piccolino, felice di aver allargato la famiglia, ma deve fare subito i conti con una disgrazia: Jeff non ha ancora otto mesi quando gli viene diagnosticato il retinoblastoma, un tumore maligno che colpisce gli occhi e purtroppo ciò gli causa la perdita della vista. A volte, però, alcune tragedie danno ancora più forza e voglia di vivere. Il bambino acquisisce altre sensibilità, è molto perspicace e curioso e a soli tre anni comincia a suonare la chitarra con quello stile unico, tenendola piatta sulle ginocchia. Adora la musica, comincia a collezionare un numero spropositato di dischi – arriverà a possedere 30000 “antichi” 78 giri!-, da cui impara a orecchio tutti i trucchi del mestiere. Il tempo scorre velocemente, ormai è un enfant prodige nel circuito nazionale, appare in TV e conduce uno show di matrice jazz e blues alla radio. Inoltre si esibisce nei club della sua città, dove avviene l’incontro con il batterista Tom Stephen nell’84 e forma la Jeff Healey Band, che diventerà un trio nel gennaio successivo grazie all’arrivo del bassista Joe Rockman.
I ragazzi pestano duro, pubblico e stampa locale cominciano a parlare in modo entusiastico del gruppo che fonde blues, rock e jazz in una maniera speciale come speciale in tutti i sensi risulta il suo frontman. Si narra che durante un’epica performance alla Albert’s Hall di Toronto, Stevie Ray Vaughan e il Maestro della Telecaster Albert Collins siano presenti tra la folla e si entusiasmino del personaggio, improvvisando pure una jam session con lui. Con tale incoronazione arriva presto un contratto discografico e a settembre 1988 vede la luce See the Light, pirotecnico esordio del “combo”, equilibrato mix di canzoni autografe, cover storiche e brani di compositori famosi studiati ad hoc per tale progetto.
L’opening Confidence Man e il secondo singolo dell’LP, Angel Eyes, scritte dal grande autore e musicista americano John Hiatt rappresentano perfettamente quest’ultimo aspetto, dando una connotazione leggermente più soft e radio friendly all’opera, per il resto ribollente di folgorante rock blues. La Stratocaster di Healey comunque è immanente anche in queste due tracce e tocca livelli apocalittici nelle autografe My Little Girl, Don’t Let Your Chance Go By, I Need To Be Loved e That’s What They Say, una serie di straripanti “instant classic”, momenti memorabili, laddove il leader canadese esprime nelle liriche quanto innamoramento, romanticismo e bisogno di essere amati siano la parte più importante della propria vita. Dolce e potente il buon Jeff, che, con la sua innovativa ricerca di un equilibrio tra le dodici battute tradizionali e la vena maggiormente hard ereditata da Jimi Hendrix e Jimmy Page, riesce a creare un tracciato moderno del genere lasciando a bocca aperta anche B.B. King, letteralmente conquistato già dalla prima volta in cui assiste a una performance di questo ragazzo assatanato.
«Non ho mai visto niente di simile in vita mia. La sua esecuzione mi ha folgorato, è stata incredibile, magica! Quest’uomo è meglio di Stevie Ray Vaughan, meglio di Stanley Jordan, meglio di B.B. King…»
Con BB King, tratta dalla pagina Facebook officiale di Jeff Healey
E come dar torto alle parole del Re dei re dopo aver ascoltato gli strumentali Nice Problem to Have, fresco e originale, e il classico dei classici Hideaway di Freddie King? In questi pezzi emerge la nuova direzione per i seguaci del blues, che la Jeff Healey Band imprime sul finire degli ottanta, momento nel quale quel tipo di musica sembra aver perso, come a metà anni sessanta, l’impulso della tradizione e delle radici e sta tirando a campare, vivendo solo dei lampi geniali proprio ad esempio di Vaughan, o di Robert Cray, mentre altri mostri sacri scendono a patti con il pop, non sempre riuscendo a stare in equilibrio sul filo sottile della qualità, precipitando nella banalità.
Il rifacimento della storica Blue Jean Blues degli ZZ Top è naturalmente esplosivo: non è un discorso di velocità o ritmo, qui si tratta di essersi perfettamente insinuati nelle pieghe spirituali di questo gioiello e averne tirato fuori l’anima, con quella chitarra sofferta, il migliore modo per il giovane canadese di comunicare tormento, disperazione e, nonostante tutto, un barlume di fiducia, sia esso sogno o illusione. Se, per onestà di cronaca, River of No Return e Someday, Someway risultano trascurabili, ma comunque suonate in modo affamato e col coltello tra i denti, ascoltare la title track fa sì che niente più possa essere come prima.
“Pensare significa oltrepassare”, dice il filosofo della speranza Ernst Bloch. E questo è l’intento che si pone Jeff Healey in See the Light: offrire in musica e parole lo spunto per mettere in discussione tabù e mantra e così…oltrepassare i propri limiti, dirigere la nave del pensiero lontano, in modo radicale, approdando in un porto dove la fisicità del vedere non sia necessaria, e la luce si possa cogliere da dentro, dal profondo del cuore. “Come on, we’ll get from this place, now. Look out, yeah. Can you see the light? Can you see the light of love shinin’ from my heart?”, canta con trasporto il chitarrista declinando la sofferenza del blues in sonorità moderne, senza scordarne però le origini, con assoli pirotecnici ma mai fini a se stessi, vissuti nell’intimo e riflesso di quanto provato da tante deprivazioni. Buddy Guy, Albert Collins e Jimi Hendrix riecheggiano mentre la band non perde un colpo, robusta, rutilante e ben rodata, in questo tour de force di quattro minuti.
“I tre anni successivi all’uscita di See the Light furono per me, Tom e Joe a dir poco vorticosi.”
In poco tempo la Jeff Healey Band si guadagna un posto di spicco nel panorama mondiale delle sette note, esibendosi in stadi sold out, arrivando a eseguire i suoi brani pure di fronte a numerosi Primi Ministri, al Presidente degli Stati Uniti e alla Regina d’Inghilterra. Tutto ciò sempre mantenendo quell’umiltà che contraddistingue il suo capo carismatico, che, prima del destino beffardo, concepisce nuovi progetti anche al di fuori del trio ‒ di cui vanno comunque certamente rimembrati la presenza nel film Road House con Patrick Swayze oltre ai due lavori Hell to Pay (1990) e Cover to Cover (1995) ‒, e si concentra sul jazz per dare sfogo alle sue immense doti, cimentandosi persino alla tromba.
Jeff alla tromba, tratta dalla pagina Facebook officiale di Jeff Healey
Mess of Blues (2008) è, infine, il disco solista indimenticabile sia per le circostanze, in quanto viene pubblicato pochi giorni dopo la morte, sia per l’ispirata tracklist, costruita principalmente con canzoni dal vivo miscelate con alcune perle registrate in studio.
“La mia arte contiene molte cose, all’interno vi sono tanti collegamenti a diversi stili musicali, tutti emozionali e spontanei. Dal vivo, poi, mi approccio alle cose come farebbe un amante del jazz: c’è una struttura, ma tutti gli assoli sono improvvisati e c’è notevole libertà al suo interno.”
Jeff Healey si ricorda inoltre per lo spiccato sense of humour e l’instancabile amore per la vita, corredati da una forza interiore che non lo mollerà mai, nemmeno nei momenti più bui e che, insieme alla sua profonda passione, gli permette fin dall’infanzia di incamminarsi in quel percorso di riscatto e redenzione, a dispetto di ogni avversità vissuta. Ci abbandona a marzo 2008, quando sta per compiere 42 anni, in seguito a una serie di tumori che lo colpiscono alle gambe e ai polmoni, lasciando una tristezza e un vuoto incolmabili. Rimangono le sue imprese alla chitarra, quella voce espressiva, quella passione e curiosità che gli hanno dato la libertà, una libertà che solo la musica gli poteva donare.
Con SRV Copyright by Tony Tobias