GIUGNO (A cura di Alessio Barettini)
Troppo forse si è già scritto sullo spettacolo che ha appena finito il suo tour italiano, l’ultimo lavoro creativo di David Bowie, quel musical che ha debuttato a Broadway circa un mese prima della sua morte, e che porta il nome di Lazarus.
Troppo, così come è ormai arcinota la storia della sua morte, la sua intelligenza artistica, il suo ultimo album e appunto questo spettacolo. Per tutte queste ragioni il mio vuol essere un articolo da fan, da appassionato, da cultore di “belle arti”, già preoccupato dell’ambiguità di queste stesse definizioni.
Voglio partire con il dire che avevo visto l’opera originale, con Michael C.Hall nelle vesti di Thomas J.Newton protagonista già del film L’uomo che cadde sulla terra, interpretato nel 1975 proprio da Bowie. L’avevo visto su un canale streaming americano qualche anno fa, convinto che non avrei avuto altre occasioni di avvicinarmici.
Blackstar era stato il suo testamento, quindi Lazarus era una sorta di bonus track, per questo sono rimasto piacevolmente sorpreso dallo scoprire che Walter Malosti aveva potuto portarne un adattamento italiano sui nostri palcoscenici, grazie anche alla sua amicizia con Enda Walsh, il regista che aveva curato la messa in scena originale. Come tutti ero rimasto perplesso dalla scelta di Manuel Agnelli come principale interprete, scelta che ha spinto non pochi fan a non provarci neppure, ad andare a comprare il biglietto.
Agnelli poi è piaciuto, al pubblico e ai critici. Posso solo confermare le sue qualità vocali: Agnelli non vuole imitare Bowie, e questo gli fa onore. Sa cantare, questo è certo, ma il suo Newton è molto statico, cupo oltremisura, in modo persino autoreferenziale, come purtroppo si poteva temere. Agnelli è da sempre malato di protagonismo, e in un’opera come questa la cosa non funziona per almeno tre ragioni che invece rendono onore all’opera:
– la storia, già troppo complessa nella versione originale, che quindi avrebbe bisogno di molteplicità, più che di singolarità;
– l’aspetto musicale, molto ben gestito a livello artistico e scenografico per motivi che esporrò in seguito;
– e l’allestimento.
Su quest’ultimo punto, pur concordando con i pareri mediamente positivi che riguardano la pedana circolare mobile, la presenza di televisioni che spezzano la narrazione e i suoi piani, e la posizione dei musicisti defilata sui fianchi del palco in posizione rialzata a creare un’ottima orchestrazione, non è sempre chiara la scelta registica di collocare al centro della scena T.J.Newton. Certo, lui è indubbiamente il centro della scena, il perno intorno al quale gira l’intera storia dell’alieno che vorrebbe ritornare sul suo pianeta, ma siccome si tratta di un uomo psicotico nel quale ci inoltriamo come fossimo psichiatri, sarebbe bene che l’effetto di attenzione nel pubblico fosse costruito su più centri.
Per lo stesso motivo stona la staticità di Agnelli, almeno se confrontata con la dinamicità di Hall nella versione originale. Lazarus è nato come musical, io ho visto uno spettacolo narrato e cantato, con intervalli asfissianti che non hanno certo aiutato a mostrarmi chiarezza fra i miei tentativi di comprensione. E pensare che conosco Bowie a menadito. Conosco la sua storia, ho già visto lo spettacolo originale e il film, conosco le sue canzoni e i testi quasi a memoria, conosco bene le storie dei tre album bui di Bowie, Station to Station, 1.Outside e Blackstar, per tacerne di altri, conosco la storia del suo fratellastro morto suicida per motivi legati alla malattia mentale.
Il punto è che nei deliri di chiunque abbia simili problemi o coltivi simili visioni del reale, è sempre possibile intravedere dei fili rossi, ma qui è il regista che mi deve mettere in condizione di capire qualcosa dei deliri allucinanti e allucinati di Newton, i suoi desideri di tornare e la sua deviazione più grande, quella cupa figura che appare in scena somigliante a Andy Warhol e che potrebbe rappresentare l’omicida che si nasconde in Newton, che si nasconde a Newton e che potrebbe essere il suo primo, stesso omicida.
E ancora il recesso mentale della protagonista al femminile che diventa Mary Lou, la donna amata un tempo da Newton, anche se si dimentica del tutto che il suo desiderio principale qui rimane quello di tornare sul suo pianeta, dalla sua famiglia. Insomma, un gran caos, e mi domando quanto ne avrei potuto godere se fossi venuto a teatro digiuno di queste conoscenze.
Lo spettacolo resta comunque godibile a livello musicale. Come già detto Agnelli sa cantare, i musicisti danno un’interpretazione musicale completa e intensa, sono ben più che una cover band, sono forse loro i veri protagonisti di questo Lazarus troppo gotico e troppo ridondante, che sceglie di raccontare una trama pesante lavorando per mettere in scena il vortice, per alimentare il caos, mai per dirimerlo, le speranze di Newton appaiono futili già sul nascere, questo spazio fra la realtà e la psicosi non deve morire mai, Bowie lo sapeva, Malosti a quanto pare no, o almeno non del tutto.
Un plauso per Casadilego, l’allucinazione che prova a uscire da se stessa attraverso la propria voce cristallina, aperta, una serie di interpretazioni convincenti, che non posso che sollevare a punto di forza ineliminabile di quest’opera, la cui godibilità passa attraverso la sua spontaneità vocale e interpretativa, condizione che personalmente avrei curato meglio negli altri personaggi.
Alessio Barettini