Ritrovare Battiato
Non ascoltavo assiduamente Franco Battiato dai tempi dell’università, quando era pane quotidiano insieme allo studio. Nella seconda metà degli anni Novanta preparavo esami come Filosofia Teoretica, Ermeneutica, Filosofia del linguaggio, ascoltavo i dischi del Maestro, soprattutto le ultime uscite con Manlio Sgalambro, e insieme mi nutrivo di tutti quei gruppi italiani di recente formazione che a lui dovevano molto.
Poi un lungo vuoto. Come un cambio repentino di frequenze. Una difficoltà a risintonizzarsi. Quasi vent’anni. Fino alla notizia della sua morte.
Da quel giorno di maggio, tutto è avvenuto spontaneamente. È stato come riaprire un baule, (ri)varcare naturalmente le porte di una casa abbandonata da tempo ma così familiare e amata.
Commovente è stato riscoprire antichi tesori e insieme nuove stanze; cercare di essere all’altezza delle sue intuizioni, provare a comprenderle, soprattutto quelle degli ultimi album, da me meno frequentati ma carichi di inedite visioni e inattesi disvelamenti. E per questo forse ancor più affascinanti, densi, ammalianti.
Ritrovare Battiato, riascoltarlo assiduamente, ha voluto dire in queste settimane molte cose: tra queste, riavvicinarmi alla lingua italiana dopo anni immersi nell’anglofonia, sondare i suoi giochi linguistici, riscoprire il gusto di un certo de-costruzionismo, ma soprattutto ritrovare il piacere dello studio e della ricerca personale, interiore, silenziosa, fine a se stessa. Non già quella che si prefigge una meta, una destinazione, un frutto cui tendere o qualcosa infine da produrre, ma quella che contiene in sé un destino “vuoto”, fuori dal tempo e dallo spazio. E che per questo apre e si apre a orizzonti sconfinati, ben oltre lo stretto raggio di una singola esistenza.
La polvere del branco
Così, ad esempio, nei momenti liberi consentiti dalle recenti vacanze agostane ho iniziato a leggere un testo di quel Tulku Urgyen che il Maestro cita all’inizio della straordinaria traccia La polvere del branco, dall’album del 2012 Apriti Sesamo.
Con quei versi che ti gettano nell’abisso ma al contempo ti aprono alla ricerca di un altrove, e così potenti per questi nostri tempi oscuri:
«Ci crediamo liberi ma siamo schiavi
milioni di milioni di ombre, sperdute
rumorosi, andiamo per le strade
alzando solo polvere…
Millions of shadows walking into nothingness».
Una nitida fotografia della condizione umana? Una precisa esortazione a ricercare la nostra vera essenza? Non mi interessa la risposta, ma l’intuizione profonda che queste parole insinuano.
Quella che in parte sta in ciò che Tulku Urgyen, maestro buddhista autore de Il risveglio (edito dalla straordinaria Ubaldini), dice risiedere nella “vuota conoscenza”. L’essenza della nostra mente. Lo stato risvegliato. La sveglia presenza originaria libera da concetti. Quello da cui i pensieri, le emozioni intrusive, le migliaia di immagini e voci che ci attraversano ogni giorno ci distraggono. Imprigionandoci.
«Ci crediamo liberi, ma siamo schiavi»…
Sarebbe fin troppo facile, e proprio per questo assai lontano dallo spirito battatiano, attualizzare tutto questo alla penosa situazione dell’oggi. Anzi, forse sarebbe eccessivamente rassicurante. Quanta polvere si è alzata in questo anno e mezzo su giornali, social network, salotti televisivi, studi dei telegiornali, messaggi a reti unificate, ma anche nelle stesse chiacchiere tra amici e financo con i propri “congiunti”…
Epperò, assai più potente è il quadro se si pensa che comunque vadano le cose del mondo, in fondo, l’uomo non è che un’ombra, rumorosa e sperduta. Che merita uno sguardo compassionevole o al limite un sogghigno bonario nel suo affannato accaparrarsi e rincorrere il posto migliore, la prima fila sicura, la verità più comoda, l’assicurazione promettente sul futuro.
Io non sono da meno. Anch’io alzo solo polvere.
Ho però iniziato ad allenarmi. Mi alleno a riconoscerla. A fiutare la puzza del branco, l’odore acre del veleno. E insieme, ancor più forte, l’aroma lontano della non-distrazione.
Domani ricomincerò. Pochi istanti ogni giorno, molte volte. È questa, secondo Tulku Urgyen, la chiave di volta, la strada maestra. Proverò a seguirla, ispirato dall’ascolto di Franco Battiato, di cui tornerò a scrivere nelle prossime settimane…