Dopo i pezzi su Massimo Volume e Scott Walker, l’amico Alessio Barettini regala ancora una volta al blog un articolo originale e molto sentito. A due anni dalla sua scomparsa, David Berman resta un artista da studiare, leggere e ascoltare, e in questo contributo Alessio ci invita a scoprirlo offrendoci anche due poesie del songwriter statunitense, tradotte in italiano per l’occasione.
IL POETA SELVAGGIO DALLA VOCE GENTILE
Quando ero un adolescente arrabbiato cercavo e seguivo istintivamente tre mood, in musica come nella vita. Il mistero, la rabbia, e una strana fascinazione che cambia nome ancora oggi ogni volta che si crea una specie di magia. Ciò che non capivo e ciò che mi faceva soffrire non mi bastavano. Apprezzavo chi fosse in grado di essere meno prevedibile.
Quando scoprii David Berman, fu subito così. L’originalità era rappresentata da una estrema semplicità nei suoi testi, scarni e intensi, che arrivava dritta al cuore. Il primo verso che mi colpì, “Please don’t say that my soul has died away”, da cui compresi che possiamo accettare tutto, ma l’anima c’è, è un punto fermo, anche se non sapevo esattamente cosa questo significasse. O le parole “In the last day of your life don’t forget to die” e “It’s been evening all day long and how can something so old be so wrong?”. Ovvero ciò che è ovvio può essere detto anche in modo originale.
Due anni fa il suo tragico suicidio, le parole che si sono spese, la depressione, il padre mercante d’armi, l’ebraismo, i suoi temi quotidiani. Ma di chi si suicida dovremmo ricordare il silenzio, come scrive Milo De Angelis, e poi, cosa potremmo saperne, noi, se non provare a immergerci nel suo ultimo album, uscito con il nome (band e titolo) di Purple Mountains proprio nel 2019, pochi mesi prima l’estremo gesto, dove troviamo anche versi eloquenti come “the dead know what they’re doing when they leave this world behind, when the here and the here after momentarily align”, e dove Berman esplora come mai prima la sua interiorità, il divorzio, le crisi. Brani come All my happiness is gone, Darkness and cold o It’s still rock’n’ roll to me sono freschi, aperti, ma ovviamente cupi e declinanti, ben più di quei brani che quasi 30 anni fa avevano segnato il suo debutto: era il tempo dei Silver Jews, un progetto già a cavallo fra blues e folk in chiave rigorosamente lo-fi, che fece immediatamente di questa perla di band un piccolo oggetto di culto della musica indipendente americana.
Berman si era formato, musicalmente parlando, grazie all’amicizia con Stephen Malkmus, il leader dei Pavement che tanto in comune ha avuto con lui, senza però essere mai stato altrettanto capace di toccare le corde più fragili che compongono la nostra sfera più intima. David sì, cantava proprio su quelle e con quelle corde. Forse proprio perché oltre a essere cantante era poeta.
Sto provando, in questi mesi di lockdown e di restrizioni, nei tempi morti, a tradurre le sue poesie, quelle uscite nella raccolta Actual Air, mai pubblicata in Italia. Magari, a lavoro ultimato, qualcuno vorrà farsene carico. Non sbaglierebbe, perché le poesie di Berman si contraddistinguono per originalità. Basta leggere pochi versi per accorgersene. Il gusto del paradosso stempera un magmatico senso della tragedia. La delicatezza del quotidiano in salsa raffinata. La disarmante semplicità della risposta.
Il suo progetto musicale, Silver Jews, è durato alcuni anni e 5 album. Tra questi vanno menzionati almeno American Water e Starlite Walker. (Qui alcuni pezzi scelti: https://pitchfork.com/thepitch/15-songs-that-defined-david-bermans-heavy-magic/)
Berman non era un fenomeno musicale: canzoni semplici, una voce non sempre intonata, arrangiamenti base. Ma se non siete di quelli che storcono il naso quando sentono che il tratto centrale è l’assoluta e scarna semplicità, al confine con un’autenticità persino dolorosa, troverete pane per i vostri denti. Infatti quando è morto, questo re del mondo della bassa fedeltà è stato celebrato da moltissimi artisti del mondo indipendente: Kevin Morby, Kurt Vile, Bill Callahan e ovviamente gli ex Pavement Malkmus e Bob Nastanovich.
Non mi vengono in mente autori come lui. Penso a Anthony, Jeff Buckley, Nick Drake, che a modo loro sono stati sempre la voce, il tramite di un’interiorità profonda e ammaliante. Berman è stato senz’altro questo, un autore ancora da scoprire che non ha cessato di parlarci, ma anche l’antiperformer per eccellenza.
Pubblichiamo di seguito due poesie di David Berman, tradotte qui da me.
Neve
Camminando per un campo con mio fratellino Seth
Indicai un punto dove dei ragazzi avevano costruito degli angeli di neve.
Per qualche ragione, gli ho detto che una truppa di angeli
era stata colpita e si era dissolta quando toccò terra.
Mi chiese chi li colpì e io dissi un contadino.
Poi fummo sulla copertura del lago.
Il ghiaccio sembrava una fotografia d’acqua.
Perché, mi chiese. Perché li colpì.
Non sapevo dove sarei arrivato con questo.
Erano sulla sua proprietà, dissi.
Quando sta nevicando, gli esterni sembrano una stanza.
Oggi ho scambiato i saluti con il mio vicino.
Le nostre voci rimasero sospese nella nuova acustica.
Una stanza con i muri esplosi in mille pezzi cadenti.
Tornammo a spalare la neve, lavorando fianco a fianco in silenzio.
Ma perché erano sulla sua proprietà, chiese.
Acqua classica
Ricordo Kitty dire che dividevamo una smania profonda per il premio di consolazione, ridendo come se stessimo lavando la diligenza.
Ricordo la notte che ci accampammo
e io la ascoltai sussurrare
“Pensa a me come si pensa a un luogo” dal suo sacco a pelo
con il disegno stampato di un centauro.
Ricordo che eravamo nel laboratorio di suo padre
quando captammo un uomo sconosciuto piangere
sulle onde corte della radio
e la notte che eravamo così felici ci convincemmo
che la strada era un ologramma proiettato dai fari.
Ricordo come lei volesse sempre fare in modo che tutti votassero
su ciò che avremmo fatto dopo e la volta che lei disse
“tutta l’acqua è acqua classica” e timidamente girò la sua faccia.
Alle partite di pallavolo i suoi genitori sedevano sugli spalti
come ambasciatori dall’Indiana in tutte le loro sdolcinatezze tipiche del Midwest
Era distrutta quando furono arrestati per aver manipolato
un sistema giudiziario privato dentro i confini statunitensi.
Qualche volta mi sveglio nel cuore della notte
per il fracasso di un carrello che fa servizi nelle stanze e ripenso a Kitty.
Quelle sere d’estate sul lago del governo,
parlando del paradosso dei Babbo Natale multipli
o come ci si sentiva ad avere il cuore spezzato.
Ho ancora un sentimento comune il giorno della festa del Lavoro quando l’estate finisce
e ricordo come mi riferissi sempre ai suoi fidanzati
con “come si chiama”, che era scorretto da parte mia e io vorrei
scusarmi con quei ragazzi adesso, dovunque siano:
nessuno merita di essere chiamato “come si chiama”.
Alessio Barettini