George Harrison, Maya e l’ukulele

Nelle scorse settimane sono stato immerso nella raccolta e nello studio di diverso materiale per un nuovo libro che ho in mente. Alcune scoperte, alcune riflessioni, alcune intuizioni richiedono silenzio, attesa, tempo di maturazione. Ed è per questo che non sono riuscito a scrivere più nulla per il blog.

Ci ritorno oggi, con un nuovo arrivo…

Cercare

A volte si ha la sensazione di giungere così vicino alla Verità che tutto il resto appare sfuocato, sfumato, vuoto di parole. Forse riesci per qualche momento persino a convincerti che – finalmente – non dovrai più cercare, potrai placare la tua sete, smettere di vagare alla ricerca di una risposta.

Poi dai regni celesti torni con i piedi per terra, dove sei costretto a relativizzare anche le scoperte più appassionanti, a farle concordare con la vita di tutti i giorni. Speri che la loro eco continui ad accompagnarti, a farti sentire la loro voce-guida nel buio. Ma sai che è una presa debole, che spetta a te tenerle a galla, non lasciarle svanire e impallidire dentro le chiacchiere e l’incombente quotidiano.

È un percorso pieno di contraddizioni, di salite e discese, progressi e regressi, lampi di entusiasmo e ombre di esitazione…

È quando si attraversano fasi come queste che, credo, bisogna guardare ai Maestri. A chi le ha vissute, attraversate, esplorate prima e più intensamente di te, e magari ha lasciato qualche insegnamento…

Dal sitar all’ukulele: George Harrison

In questi giorni, ad esempio, non riesco a smettere di ascoltare George Harrison. Non solo gli album dei Beatles, ma soprattutto i dischi da solista.

I suoi testi, le sue melodie, la raffinata composizione delle sue canzoni, l’espressività con cui sapeva usare lo slide alla chitarra… Tutte cose già ampiamente analizzate da critici, musicologi e studiosi.

harrison

C’è tuttavia un aspetto che più di ogni altro mi cattura di lui, ed è proprio la radicata consapevolezza di quanto sia inevitabile districarsi fra le contraddizioni che segnano questa nostra forma di esistenza, quanto sia impossibile eliminarle. Living in the Material World.

Meglio, allora, guardarle con un certo sarcasmo, un sorriso beffardo, quasi sardonico, sul volto. Depotenziarle, forse, attraverso l’ironia, talvolta l’irriverenza, la satira.

Sono le stesse, apparenti contraddizioni che George Harrison ha incarnato in mille modi diversi: la ribalta più eclatante e la ricerca di solitudine e pace, la scoperta della filosofia indiana e la passione per le corse automobilistiche, la disciplina della meditazione e la produzione di film come Life of Brian dei Monty Python, lo studio complesso del sitar con il grande maestro Ravi Shankar e l’entusiasmo per uno strumento apparentemente semplice come l’ukulele.

È proprio questo tratto della sua personalità che più mi affascina e da cui voglio trarre ispirazione. Perché spesso le contraddizioni, così come il gioco degli opposti, sono solo un primo velo, un manto illusorio su una realtà assai più profonda, oscura, nascosta, che ci sfugge continuamente ma non meno ci attrae. I mille volti di Maya

Welcome Uke!

Così, qualche giorno fa, ho deciso di acquistare un ukulele.

ukulele harrison

Harrison diceva che tutti dovrebbero possederne uno, non solo perché è facilmente trasportabile vista la piccola taglia, ma soprattutto perché è impossibile suonarlo senza sorridere.

Molti potrebbero pensare a un banale invito all’ottimismo. Io credo invece che George invitasse a provare a sorridere, ironicamente, proprio al cospetto di quanto detto prima, e cioè delle molteplici contraddizioni, degli enigmi e delle inevitabili limitatezze del nostro campo di esperienze e di esistenza. Un sorriso sottile, caustico, sardonico, anche quando non c’è niente da ridere. Anche quando non si trovano risposte. Sostare nel dubbio, attendere la prossima illuminazione, e nel frattempo imbracciare questo piccolo strumento a quattro corde e intonare qualche canzone. Mentre il fiume scorre da sé…

George Harrison ukulele

Così, appena arrivatomi, ieri ho iniziato a suonarlo un po’. I primi accordi, le prime diteggiature… Fino ad abbozzare un classico come Ain’t She Sweet

È stato amore a prima vista.

Inoltre, di tanto in tanto mi piace attivare quella “mente di principiante” che necessariamente entra in funzione quando dobbiamo imparare qualcosa di nuovo. Via pregiudizi, via borie, via presunzioni. È con questo spirito che continuerò a suonarlo nelle prossime settimane, ispirandomi magari anche ad un altro grande George, alla sua ironia, alla sua bravura…

Thank you Mr. Harrison. Thank you Mr. Formby.