Da qualche settimana ho rotto il ghiaccio con una nuova, affascinante esperienza: la radio.
Grazie a Radio Contatto, infatti, tengo una breve ma densa rubrica al termine del programma Revolution! in cui mi occupo di ciò che più mi appassiona: le opere e le idee di alcuni musicisti messe a confronto con alcune considerazioni letterarie o filosofiche.
Le prime puntate
Ho dedicato le prime puntate all’immenso Jimi Hendrix, provando a dare una lettura un po’ diversa della sua genialità. Sì, perché per me Jimi è stato soprattutto un inimitabile «costruttore di mondi», cioè un artista capace di utilizzare e mescolare insieme, in un unico atto creativo, molteplici linguaggi: quello chitarristico e strumentale, naturalmente, ma anche quello poetico, fantascientifico, metaforico, pittorico, immaginifico e performativo.
Nella musica di Jimi ci sono i colori di Kandinskij, le tecniche di gocciolatura di Jackson Pollock (e la sua stessa sete di esplorazione di nuovi territori e abbattimento di frontiere), i dialoghi interplanetari tipici dei romanzi di fantascienza, lo spostamento di piani consentito dalle metafore (sulla scia del suo faro poetico, Bob Dylan), l’abilità teatrale e scenica di alcuni vecchi bluesmen, Charlie Patton su tutti.
Come insegna il filosofo americano Nelson Goodman, costruire mondi significa utilizzare le tecniche di espressione dei vari linguaggi simbolici di cui l’uomo dispone, cioè numeri, elementi, colori, parole, metafore, suoni… Nella sua musica Jimi non ha mescolato soltanto generi diversi, dal rock-blues al funk, dall’R&B al jazz, ma anche e soprattutto questi linguaggi simbolico-espressivi.
Sempre Goodman diceva che non si costruisce mai dal nulla, perché il fare è già sempre un ri-fare, un prendere a prestito vari elementi e, nella mescolanza così cara a Hendrix, creare (sempre) qualcosa di nuovo. Per certi versi, nel suo caso si è trattato di dar vita a una vera e propria cosmologia, un nuovo ordine delle cose. Come accade con i grandi dipinti, infatti, dopo aver ascoltato una canzone di Jimi si comincia a guardare al “mondo” in modo diverso…
Una delle tecniche più affascinanti del costruire mondi è la deformazione, uno strumento potentissimo nelle mani di Hendrix, di cui possiamo cogliere tutta la potenza evocativa e simbolica in una sua storica performance: quella dell’agosto 1969 a Woodstock.
Con la sua “macchina dei sogni”, la Fender rovesciata, Jimi deforma l’Inno Americano The Star Spangled Banner, evocando in un cocktail esplosivo con la leva del vibrato e l’uso sapiente del feedback scenari di guerra e di violenza per lui indegni non solo della “patria della libertà”, ma in fondo dell’umanità tutta. Tra le sue lunghe dita le note deformate dell’inno diventano suoni di spari, ambulanze, sorvoli, bombardamenti, grida di dolore e disperazione…
Al di là di tutto ciò che già è stato detto e scritto su questo straordinario atto performativo, a oltre 50 anni di distanza ci lascia un’eredità nitidissima: l’arte non è soltanto qualcosa, l’arte fa qualcosa. Ha cioè una funzione simbolica potentissima.
Senza proferire parola, la versione dell’Inno di Jimi scardina, de-costruisce, smaschera e denuncia una realtà di violenza e soprusi.
È la formidabile testimonianza di un artista libero, audace e assolutamente consapevole del potere trasformativo dell’arte.
Le prossime puntate
Nel prossimo ciclo di puntate mi occuperò di un altro artista per me fondamentale: Eric Clapton. Che di Jimi era grande amico nonché compagno di jam notturne quando entrambi si trovavano Oltreoceano. Pur rimanendo ancorato al blues, Eric ha sempre mostrato una grande versatilità e apertura a influenze artistiche diverse.
Proprio per questo proverò a leggerlo partendo da un’ottica particolare, soffermandomi sulle numerose collaborazioni artistiche di cui Slowhand si è nutrito nell’arco della sua carriera.
Comincerò dagli affascinanti e tribolati esordi negli anni Sessanta, tra ricerca di purismo e fuga dalla notorietà, che si concludono di fatto con l’album capolavoro del 1970 con i Derek and the Dominos, su cui ho già scritto in un precedente articolo e per il quale rimando al puntuale e interessante articolo di Alessandro Vailati per Loudd.
A proposito di collaborazioni, ecco una cover dell’eterna Little Wing di Jimi fatta da Eric qualche anno fa, con David Sanborn e Sheryl Crow…
Alla prossima puntata, dunque!