Conosco e stimo Martin Bellavia da diversi anni. L’ho sentito suonare molte volte restando sempre a bocca aperta per la bravura e la naturalezza che esprime sul palco. Quelle di chi suona da quand’era bambino e con la chitarra fa quello che vuole, passando dal blues al rock, dal jazz al funk. Col pretesto del blog gli ho rivolto qualche domanda, per conoscere qualcosa di più del suo mondo e della sua attività musicale.
Da Frank Zappa al funk, dal gruppo degli Ossi Duri all’attuale formazione dei Black City: cosa ti ha portato negli anni a maturare quest’evoluzione musicale?
Ho sempre ascoltato, oltre a Frank Zappa, gruppi come Red Hot Chili Peppers, Primus, Parliament/Funkadelic. Ad un certo punto della mia carriera ho sentito il bisogno di un sound meno complesso rispetto a quello di Zappa. Credo che il Funk sia il genere più adatto per questo tipo di ricerca.
A quali artisti e band ti ispiri oggi, e cosa porti dell’attitudine zappiana verso la musica nel tuo stile?
Adoro i Vulfpeck e specialmente Cory Wong, secondo me ad oggi il miglior chitarrista funk nella scena musicale. Un maestro del funk moderno è certamente Maceo Parker. Ciò che continuo a portarmi dietro di Zappa è l’attitudine. Non prendersi mai troppo sul serio (nel senso dell’ironia etc.) e cercare di comporre musica alla massima qualità possibile sia di esecuzione che di suono.
Com’è cambiato nel tempo il rapporto con il tuo strumento, la chitarra?
Ho iniziato come chitarrista Rock, quindi chitarra sempre distorta e soli veloci. Oggi uso pochissimo il distorsore e non mi interessa molto essere un solista, adoro la ritmica, e sto imparando a suonare la chitarra come fosse una percussione. Il groove è ciò che mi interessa avere… tutto il resto è contorno.
Composizione, realizzazione, produzione di un nuovo album: in che modo ti occupi di queste diverse fasi artistiche, tra nuove tecnologie e decisioni da prendere?
La tecnologia è diventata uno strumento fondamentale per me, per comporre musica. Grazie ai programmi di oggi posso creare un brano completo da solo e sentire subito se funziona o meno prima di proporlo alla band. Si risparmia un sacco di tempo. Nonostante ciò preferisco suonare dal vivo senza l’ausilio di nessuna nuova tecnologia come iPhone, iPad etc… Ultimamente non uso neanche un pedale, diretto nell’ampli e via!
Essere un musicista oggi immagino voglia dire conoscere bene anche il modo con cui la musica viene fruita, non più solo su vinili o CD ma anche su piattaforme e canali come YouTube o Spotify. In che modo tutto questo influenza il “fare musica” da parte di un artista o una band?
Credo che queste nuove piattaforme non solo abbiano stravolto il modo di usufruire della musica, ma anche di comporla. Per esempio, oggi ha meno senso pensare ad un “concept album”, oppure sai bene che il tuo album dopo sei mesi è già vecchio. Oggi è quasi più importante avere dei video molto accattivanti, la musica da sola non basta più. Bisogna pensare a tutti questi aspetti e fare i conti con questo “nuovo” modo di concepire la musica e personalmente mi diverte farlo.
Negli anni hai collaborato con diversi artisti, da Elio e le Storie Tese a Ike Willis…
Già, mi reputo molto fortunato perché ho avuto la possibilità di suonare con i miei miti dell’adolescenza. Ho imparato tantissimo stando sul palco con questi giganti, è la miglior scuola di musica che abbia mai fatto.